I primi a parlare di digital divide furono, negli anni ’90, Al Gore e Bill Clinton: nel periodo in cui internet esplode come fenomeno di massa e si trasforma in un mezzo di lavoro e business sempre più fondamentale, la difficoltà di accesso alla rete in determinate zone degli USA (anche per i costi elevati) divenne specchio delle differenze sociali ed economiche del paese.
La “rivoluzione internet” di forte sviluppo e potenziamento delle infrastrutture intrapresa dalla politica statunitense, si allargò a macchia d’olio in tutto il mondo industrializzato e le tematiche connesse raggiunsero, nel tempo, le aree del mondo meno sviluppate.
Digital Divide definizione e significato
Con l’espressione digital divide si definisce il divario esistente tra chi ha possibilità concreta di accedere a computer, internet e più in generale alle tecnologie dell’informazione e chi invece ne è escluso.
Mai come oggi, a seguito della pandemia di Covid-19, è risultato chiaro quanto sia profonda la differenza, all’interno di un paese come l’Italia, tra chi può accedere a mezzi tecnologici e chi no.
La discriminazione presente nel mondo della tecnologia è derivata sostanzialmente da tre fattori:
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Privilegi economici e sociali
Il divario digitale nel mondo è principalmente causato dalla mancanza di denaro. Secondo uno studio della Web Foundation, che ha usato dati Onu, la crescita degli accessi alla rete è drasticamente rallentata: il tasso di crescita è sceso, in 10 anni, dal 19% al 6%.
I costi per dotarsi di infrastrutture, ma anche, banalmente, di un PC, rendono lo sviluppo digitale un appannaggio delle comunità più ricche, e all’interno di esse spesso solo delle classi più abbienti. Attualmente 3,8 miliardi di persone non hanno accesso al web.
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La mancanza di infrastrutture adeguate
Per quanto riguarda invece i paesi occidentali il problema è derivato essenzialmente dalla mancanza di infrastrutture adeguate, che penalizzano maggiormente le aree meno popolose e più difficili da raggiungere. In questo caso però, si parla di digital divide dovuto alla velocità di trasmissione dati, più che ad una reale mancanza di connessione.
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L’analfabetismo informatico
Un ulteriore problema da non sottovalutare è l’analfabetismo informatico, ovvero la totale o parziale incapacità di utilizzare strumenti informatici quali un pc o un cellulare.
In questo caso il divario digitale è culturale e dipende sopratutto da fattori sociali, anagrafici e d’istruzione.
Il Digital divide in Italia
L’UE ogni anno pubblica la DESI (Digital Economy and Society Index): una statistica che misura l’efficienza digitale degli stati.
I dati per il 2020 sono sconfortanti: pochi i progressi dell’Italia, rimaniamo al 25° posto su 28 paesi considerati, superando solo Grecia, Bulgaria e Romania.
Complessivamente arretriamo nelle aree della Connettività (26° posto), del Capitale Umano (25° posto) e dell’Integrazione delle tecnologie digitali (20° posto). Conserviamo il penultimo posto per l’Uso di Internet e il 19° per Servizi pubblici digitali.
Com’è facile intuire, la definizione di divario digitale nel nostro paese assume connotati derivanti da problematiche connesse con la mancanza di infrastrutture adeguate e di analfabetismo informatico.
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Divario infrastrutturale
In Italia solo il 5,6% della popolazione non ha una copertura Adsl, ma purtroppo la copertura con banda ultra larga ha valori che oscillano tra il 20 e il 40%.
Questo comporta un’ area digital divide di secondo livello (così definito dalla Comunità Europea il divario dovuto alla mancanza di connessione ad alta velocità) che riguarda una buona fetta degli italiani.
Inoltre, secondo un recente studio di Between Spa (società che si occupa di consulenza di direzione) solo il 19% delle aziende ha accesso a connessioni in banda ultra-larga, (download superiore ai 30 Mbps) e il 16% non raggiunge i 20 Mb.
La rete non serve solo come accesso al web per scopi ludici, ma è anche un mezzo fondamentale per lo sviluppo business e del territorio.
Le aziende hanno bisogno di una rete che sia stabile, veloce e sicura.
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Divario culturale
Questo rappresenta l’ostacolo più particolare per il nostro paese.
Una parte degli italiani ha scelto di non stipulare alcun abbonamento a internet e non utilizza neanche la rete mobile per accedere al web.
Tra le fasce di popolazione più inclini al divario digitale culturale troviamo gli anziani (digital divide intergenerazionale), le donne non occupate o in difficoltà (digital divide di genere), gli immigrati (digital divide linguistico-culturale), chi ha bassi livelli di scolarizzazione e istruzione, le persone con disabilità.
Come risolvere il problema
Una volta chiarito il significato di digital divide, bisogna capire quali sono le misure da impiegare per risolvere uno svantaggio reale in termini di opportunità.
Le strategie da intraprendere devono muoversi su due piani totalmente differenti: da un lato investimenti nelle strutture, da parte di privati e pubblici (sfruttando anche i fondi europei); dall’altro un impegno di istruzione e cultura digitale che sviluppi un utilizzo più consapevole del web da parte di chi già ne fa uso e allo stesso tempo permetta di accedervi con più facilità alle fasce di popolazione più colpite dall’analfabetismo informatico.
Società come Open Fiber e Eolo, stanno appunto cercando di colmare il gap tecnologico con la tecnologia wireless per le reti a banda larga, garantendo copertura anche in zone d’Italia attualmente non raggiunte dalla banda ultra-larga. Anche Tim e Vodafone hanno intrapreso campagne di anti digital divide con l’implemento della copertura adsl nei comuni più piccoli.
Sul fronte culturale, la società Anti Digital Divide si impegna da tempo in Italia per sensibilizzare sul tema aziende ed istituzioni, e il cui ambizioso obiettivo è di azzerare il divario digitale in tutto il paese.